giovedì 13 settembre 2007

Prova del nove


Il mio articolo su Avantgarden di oggi:


Tempo fa fui invitato a essere il protagonista di un “incontro con l’autore”. Accettai volentieri. Volevo togliermi qualche sassolino dalle scarpe. L’aula era piena. Mi presentarono. Grandi elogi qua, grandi elogi là,
“Ho smesso di scrivere racconti perché mi sono accorto di essere uno scrittore mediocre”, esordii. “Sono forse accettabile come saggista. Mi documento e credo di saper scrivere. Ma come narratore valgo poco. Certo" aggiunsi, “ogni tanto cedo alle lusinghe e scrivo qualche racconto che non sfigura solo perché c’è tanta gente che scrive e la media è bassa”.

Non volava più una mosca. Il modo migliore per attirare l’attenzione è parlare male di se stessi. La cosa mi riusciva bene perché dovevo dire semplicemente la verità.

Il seguito venne da sé. Dovevo spiegare perché mi ritenevo mediocre.

Una quindicina d’anni fa, raccontai, nel mondo della fantascienza italiana si riscoprì Lovecraft. Dopo Tolkien era giunto il momento dello scrittore di Providence. L’inevitabile paragone arrivò fino a me: “Come Poe, meglio di Poe” si diceva.

“Non scherziamo” tagliai corto. “Poe è uno scrittore vero”.

Lo pensavo allora e ne sono convinto oggi. La differenza tra Lovecraft e Poe è che il primo presenta situazioni che intendono essere paurose e fa dire ai protagonisti di essere terrorizzati.

Il lettore rimane indifferente; qualcuno si apre una bibita, qualcun altro sbadiglia.

Poe, invece, fa una cosa del tutto diversa: suscita paura nel lettore. Come i veri scrittori non fa dichiarare i sentimenti ai protagonisti, li fa provare direttamente a chi li legge.

Chi pensa di essere un bravo scrittore, si domandi se riesce a fare altrettanto.

Altro problemino. Provate ad ambientare un racconto nel futuro. Molti scriveranno: “Il 25 aprile 2180 il cielo era pieno di elitaxi mentre gli ultimi robot spazzini si attardavano per le strade ecc ecc.”. Chi legge non pensa affatto di essere nel futuro. Si rende conto che sta leggendo un romanzo da quattro soldi. Robert Heinlein qualche decennio fa, all’epoca non c’erano nemmeno i cellulari, cominciò un romanzo più o meno così: “Lo squillo del telefono, posto all’interno del suo cervello, lo svegliò di soprassalto”. Bastò un solo rigo per catapultare il lettore nel futuro e dargli molteplici informazioni.

Chi riesce a fare altrettanto?

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