venerdì 14 settembre 2007

Sulla disobbedienza civile


Quando l’italiano medio sente parlare dei “disobbedienti” pensa a persone che si comportano in modo illecito e talvolta anche violento, e che protestano ferocemente quando qualcuno di loro viene denunciato.
È la storia degli ultimi anni di certa sinistra massimalista, ma per un piccolo partito che la pratica da più di cinquant’anni, ha avuto sempre un altro significato.
Per i radicali la disobbedienza civile è un mezzo per essere denunciati e processati.
La violazione si annuncia ai giornali, alle forze dell’ordine e poi ci s’accinge a farla. Spesso nemmeno si riesce a consumarla perché si viene fermati nel momento in cui si sta per compiere.
Il “disobbediente storico” pretende di essere denunciato e di subire un processo. È consapevole di avere infranto una legge ma è altrettanto consapevole che il diritto si forma anche attraverso l’aula di un tribunale.
Oggi, alle 12.00 l’on. Donatella Poretti, di Radicali Italiani, farà la lavavetri a Firenze. Ha già avvertito il sindaco, i media e i vigili urbani. Vuole un porcesso perché si faccia chiarezza sui poteri del sindaco. Il sindaco ha poteri amministrativi, non legislativi e pertanto non può decidere che cosa è reato e che cosa no.
Per smascherare l'ordinanza illeggitima occorre l'intervento del Tar. Per arrivare al Tar c'è bisogno che una persona sia denunciata.
L'illegalità non si affronta con strumenti illeggittimi: i mezzi prefigurano i fini.
Molti radicali sono stati condannati in via definitiva per queste disobbedienze civili.
Beppe Grillo pretende di annoverarli tra i mascalzoni e, come tali, vorrebbe che si impedisse loro di candidarsi alle elezioni.
Ma queste sono lotte squisitamente politiche. Di alta civiltà, direi.
Ma chi potrà mai spiegarglielo?

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